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Napoli - Pompei - Caserta - San Leucio - Sant'Agata de' Goti - Benevento
arte, enogastronomia, esperienzeNAPOLI - Chiostro di Santa Chiara

Date di Viaggio
- 01/05 aprile
- 02/06 giugno
- 07/11 luglio
- 12/16 agosto
- 01/05 settembre
- 27/31 ottobre
- 08/12 dicembre
Plus Guiness
- 3 pranzi tipici in ristorante
- visita con degustazione stabilimento Strega Alberti
- degustazioni varie di prodotti tipici
- tutte le serate by night incluse
- bevande incluse ai pasti
- tasse di soggiorno incluse
- viaggiare in modo esclusivo con massimo 30 persone
Perchè questo Viaggio
- per visitare accuratamente Napoli ed i suoi tesori
- per scoprire i tesori di Benevento città Patrimonio Unesco
- per conoscere il sogno utopistico di Re Ferdinando IV di Borbone
Sant’Agata de’ Goti: il borgo sospeso sulla roccia.
Sant’Agata dei Goti è uno dei borghi più belli della Campania che si si erge su una piccola terrazza di tufo e sembra quasi che sia sospeso sulla roccia. È qui che è stato girato di recente il film con Siano “Si accettano miracoli”, pellicola che l’ha reso ancora più famoso proprio perché nelle scene si possono ammirare le sue bellezze. È un borgo famoso anche per la sua tradizione culinaria tra cui il vino, specialmente la falanghina e l’aglianico. La città è divisa in due parti: quella moderna, di origine ottocentesca, e il centro storico, un borgo arroccato sopra un rilievo di tufo. Le origini di Sant’Agata de Goti sono evidenti fin dal suo nome, dal momento che si tratta di un antico centro longobardo, ma che fu anche dominato dai normanni e quindi dagli svevi, fino a passare sotto gli angioini nel XIII secolo. Sulla rocca di tufo di Sant’Agata de’ Goti però probabilmente esistevano già insediamenti di epoca più antica, dal momento che nei dintorni sono state ritrovate necropoli sannitiche. Da vedere in città l’antichissima Cattedrale dell’Assunta, fondata nel 970, la romanica chiesa di Sant’Angelo de Munculanis, la Chiesa dell’Annunziata, che ha origini del XIII secolo, i numerosi palazzi nobiliari, il medievale Castello Ducale. Il locale Museo Diocesano conserva reperti archeologici, opere medievali e un’Annunciazione di Corrado Giaquinto.
Acquedotto Vanvitelliano.
Il grandioso Acquedotto carolino serviva per portare l’acqua alle cascate e alle fontane della Reggia. Luigi Vanvitelli fece scavare grandi pozzi, innalzò a 60 metri un viadotto lungo 528 metri chiamato “Ponti della Valle”, un ponte a tre ordini di arcate costruito per superare l’alta valle di Maddaloni. Un passaggio permette di percorrere tutti gli ordini, mentre sulla parte superiore corre una strada pavimentata in pietra, con parapetti. L’acquedotto passa sulla parte superiore della struttura e in tutto si estende per un totale di 41 km. Iniziato nel 1753 fu completato nel 1770.
Obbligatoria anche la vaccinazione contro il vaiolo. I giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover chiedere il permesso ai genitori, l’età minima. Le mogli non erano tenute a portare la dote, a questo provvedeva lo Stato, che s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi. Venivano aboliti i testamenti: i figli ereditavano dai genitori, i genitori dai figli, quindi i collaterali di primo grado e basta. Alle vedove andava l’usufrutto. Se non c’erano eredi, andava tutto al Monte degli Orfani. Nella successione maschi e femmine avevano pari diritti. I capifamiglia eleggevano gli anziani, i magistrati (i cd. Seniori che restavano in carica un anno), e i giudici civili. Esisteva una Cassa di Carità, istituita per gli invalidi, i vecchi e i malati, che prestava denaro senza interesse a chi ne avesse bisogno e che provvedeva a erogare le pensioni, alimentata da ogni manifatturiere, ovvero ogni dipendente delle manifatture della seta, mediante un prelievo mensile sulla busta paga corrispondente a 80 centesimi di Lira Aurea. Tutto ruotava intorno alla fabbrica. Una seteria meccanica, sostenuta dal re con mezzi potentissimi dai primi filatoi e dai telai fino alla costruzione di una grande filanda e che sfruttava la materia prima generata dai bachi allevati nelle case del Casertano. Si producevano stoffe per abbigliamento e per parati, in una ricca gamma di rasi, broccati, velluti. Nei primi decenni dell’Ottocento, con l’introduzione della tessitura Jacquard, la produzione si arricchì di stoffe broccate di seta, d’oro e d’argento, scialli, fazzoletti, corpetti, merletti. Si svilupparono anche dei prodotti locali, i gros de Naples e un tessuto per abbigliamento chiamato Leuceide. Era molto ricca la gamma dei colori, tutti naturali, i cui nomi cercavano di distinguere le sfumature più sottili: verde salice, noce peruviana, orso, orecchio d’orso, palombina, tortorella, pappagallo, canario, Siviglia, acqua del Nilo, fumo di Londra, verde di Prussia. I tessuti di San Leucio avevano rifornito i sovrani della casa borbonica e le famiglie della nobiltà e borghesia napoletana, sia per gli abiti sia per le tappezzerie. Fatto sta che la manifattura è sopravvissuta al Regno delle Due Sicilie e alla dominazione sabauda e, pur con caratteristiche molto diverse, continua oggi a mantenere in vita una tradizione lontana e preziosa, che si è, anzi, sparsa per il mondo. Con l’avvento della Repubblica Italiana, l’antico borgo industriale, con le abitazioni per i lavoratori, è stato oggetto di restauri ed oggi tornano a risplendere le bellezze architettoniche firmate da Ferdinando Collecini, allievo del Vanvitelli, e quelle naturali del parco della Reggia. Già sin dal 1776 Ferdinando aveva fatto venire espressamente da Torino un esperto del settore della seta, tale Francesco Bruetti, a fondare e dirigere in quel luogo una semplice manifattura di veli di seta, allora molto in voga. Che poi si svilupparono ed ampliarono sempre più, alcuni anni dopo il 1786, completando e riunendo in un locale più grande con più fabbriche e ampliando il casino di Belvedere e nel tempo stesso il centro della lavorazione, mentre il macchinista Paolo Scotti, chiamato da Firenze, dispose la collocazione per i telai e le macchine che venivano messe in moto da un rotone spinto da un ramo dell’acqua Carolina appositamente derivatovi dalla grande cascata del Real Casino. Così si ebbe una colonia industriale completa e tale da fare una pesante concorrenza alle altre fabbriche private, in quanto la seta prodotta era tessuta in maniera perfettamente uguale in tutti i suoi fili, più scelta e più solida di quella di altre manifatture, che restavano inferiori appunto per la disuguaglianza della filatura. Quello che fin da principio si fece notare fu la massima pulizia che si riscontrava in tutta la colonia unitamente all’ordine perfetto di tutta l’organizzazione produttiva. Nel 1826, vedendosi però che le casse reali non ne ritraevano direttamente tutto il vantaggio economico necessario, l’opificio di San Leucio fu dato in appalto all’industria privata ed anche se resse perfettamente per molti anni, poi fu man mano eroso dalle invasioni napoleoniche e dalla forte crescita della popolazione. Infine l’Utopia di San Leucio termino la sua missione quando nel 1861, a seguito della invasione sabauda, il Regno delle Due Sicilie fu annesso al Piemonte e tutta la struttura fu lentamente dismessa.
Dai Borbone all’Unesco storia e realtà della Real Colonia Serica di San Leucio
A pochi chilometri dalla Reggia di Caserta si trova il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio. Riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, il borgo è noto per la pregiata lavorazione della seta. In pochi però sanno che in questi luoghi fu sperimentato il primo esempio di repubblica socialista della storia moderna, in piena adesione col fervente illuminismo ideologico del ‘700. Nel 1750 Carlo III di Borbone acquistò dai Principi di Acquaviva una collina retrostante la Reggia di Caserta, sulla quale si ergeva un belvedere con una piccola chiesa dedicata a San Leucio. Fu lì che Ferdinando IV fece costruire un casino di caccia, insediandovi uno sparuto numero di coloni che provvedessero alla sua manutenzione. È cosa risaputa che Ferdinando amasse trascorrere molto tempo a San Leucio e che fosse avvezzo a trastullarsi con belle e floride contadine, tant’è che i bambini leuciani erano soliti essere chiamati “e figli d’ o‘ Re”.
La colonia crebbe nel tempo fino a diventare una piccola comunità e fu allora che il sovrano, in seguito alla morte prematura del figlio e principe ereditario Carlo Tito, ebbe l’illuminazione di operare un “restyling” della tenuta e di creare un modello sociale dotato di autonomia economica e dedito alla lavorazione della seta. Mentre i Borbone in Francia erano alle prese con i tumulti rivoluzionari, nel 1789 nasceva la Real Colonia Serica di San Leucio, nelle intenzioni visionarie e mai esaudite del sovrano “Ferdinandopoli”, governata secondo una legislazione autonoma chiamata “Codice Leuciano”, improntata su un socialismo utopistico a cui corrispondeva nella pratica una pianta organica cittadina di tipo simmetrico il cui progetto fu affidato all’architetto Collecini, allievo del Vanvitelli. Le unità abitative delle famiglie operaie, organizzate in ville a schiera, furono dislocate lungo i quartieri San Carlo e San Ferdinando, con accesso alla zona centrale definita Bagno Cavallo provvista di lavatoi ed abbeveratoi. Sul portale d’ingresso fu posto lo stemma dei Borbone con decorazioni eseguite da Angelo Brunelli e Nicola Morosini, mentre lungo via Vaccheria e via Giardini Reali furono installate pregevoli fontane del Solari. Nel progetto iniziale era previsto anche il quartiere Trattoria rimasto però incompiuto. Nel 1794 il Collecini disegnò l’ospedale della colonia che fu poi effettivamente realizzato prevedendo anche una sorta di reparto riservato alle malattie infettive. Agli inizi del 1800 furono costruiti il Casino di San Silvestro, gli edifici per la produzione casearia e le cantine per l’invecchiamento del vino ottenuto dalle uve coltivate nella “vigna del ventaglio”, ovvero quel tratto collinare tra il Belvedere e San Silvestro che prevedeva la coltivazione di un vitigno differente per ogni raggio in cui era diviso il declivio. Nel 1801, sempre su progetto del Collecini, fu iniziata anche la Chiesa di Maria Santissima delle Grazie alla Vaccheria, terminata poi nel 1805.
La vita della colonia ruotava attorno all’opificio: una seteria con la filanda (inizialmente attivata a braccia poi grazie alla forza motrice dell’acqua) ed i primi filatoi meccanici in grado di realizzare tessuti unici, come il Leuceide, partendo dall’allevamento dei bachi da seta. La fama non tardò ad arrivare e alla Real Colonia Serica di San Leucio cominciarono ad essere commissionati ordini rilevanti provenienti dalle corti di mezza Europa. Ancor più quando ad inizio ‘800 la seteria fu dotata anche di un telaio Jacquard per la produzione di broccati in oro ed argento. Il modello societario della colonia non aveva impronta capitalista, nulla era a fini di lucro, anzi i capisaldi erano l’uguaglianza, l’istruzione (obbligatoria dai sei anni per ambosessi) e la previdenza sociale. Il Codice Leuciano era a dir poco avanguardista: i giovani potevano sposarsi per libera scelta, le mogli non erano tenute a portare la dote in quanto lo Stato s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi. Vennero aboliti i testamenti, la successione era per linea diretta da padre in figlio e viceversa e le donne avevano pari diritto ereditario rispetto agli uomini e stesso salario. Gli orfani venivano mantenuti dallo Stato fino alla maggiore età, gli anziani, i malati e coloro che per un’invalidità non potevano lavorare erano mantenuti dalla comunità utilizzando come fondi le tasse mensili che ogni manifatturiere versava in proporzione al suo guadagno giornaliero. L’esperimento sociale dei Borbone funzionò egregiamente per una sessantina d’anni, poi gli ideali filosofici su cui Ferdinando IV aveva fondato la colonia cominciarono a sgretolarsi a causa dell’aumento della popolazione e dei conseguenti dissidi non risolvibili con l’applicazione della legge. Inoltre nel 1861, con l’invasione sabauda, il setificio, come gli altri beni borbonici, divenne bene demaniale e affittato a tale Dumontet che a sua volta subaffittò alle varie famiglie operaie che sin dall’origine avevano contribuito alla fama di San Leucio. Il Codice Leuciano divenne carta straccia e gli avveniristici intenti di Re Ferdinando (che di suo pugno aveva scritto le leggi) spazzati via con un soffio di vento. Nel 1866 i leuciani con una petizione chiesero ed ottennero lo statuto di comune autonomo recuperando anche le proprietà dei Borbone. Attraverso diverse società l’opificio rimase in funzione fino al 1910 poi, in seguito a fallimento, visse un decennio di inattività fino a quando, nel 1920, la famiglia De Negri stipulò un contratto per utilizzare la fabbrica fino al 1970. A partire dagli anni ’90 le piccole aziende familiari impegnate nella conservazione della tradizione serica leuciana hanno sentito la forte esigenza di creare un consorzio a tutela del prodotto. Nel 2014 il primo passo verso la modernità con la nascita di una rete costituita da cinque imprese, di poi, nel 2016, la registrazione del marchio San Leucio Silk per iniziativa della Camera di Commercio di Caserta, al fine di assicurare standard qualitativi nel pieno rispetto della storia e del territorio. I marchi che attualmente aderiscono al consorzio sono un connubio tra innovazione e tradizione. Il fine primario del marchio San Leucio Silk, come in più occasioni sottolineato dal Presidente Gustavo Ascione, è “proporre l’eccellenza della lavorazione ad un prezzo accessibile, mirando così ad un allargamento della platea di fruitori”. Obiettivo assolutamente alla portata del marchio visto che, aziende appartenenti alla rete serica leuciana, quali Bologna e Marcaccio, De Negri & Za.MA., Silk & Beyond, hanno registrato apertura di contatti commerciali con Russia ed Emirati Arabi, territori dove la preziosità delle sete di San Leucio è particolarmente apprezzata. Del polo serico di San Leucio resta il suo valore storico, la bellezza architettonica e la perfezione strutturale, di Ferdinandopoli, quella che un tempo era la colonia più all’avanguardia d’Europa, non resta nulla se non l’illusione di un re Lazzarone, un sogno fragile e delicato come un filo di seta.
1°GIORNO: ROMA - NAPOLI o altra sede - POMPEI ”il sito archeologico più visitato al mondo” km.250 2°GIORNO: NAPOLI “la città del sole” 3°GIORNO: IL SANNIO - ACQUEDOTTO VANVITELLIANO - SANT’AGATA DE’ GOTI ”il borgo sospeso sulla roccia” - BENEVENTO “Patrimonio Unesco & città delle streghe”km.200 4°GIORNO: CASERTA “il palazzo reale più grande al mondo” - CASERTA VECCHIA - SAN LEUCIO km.100 5°GIORNO: NAPOLI “il centro storico” - ROMA km.230 |
N.B. Le visite previste potranno essere invertite tra i vari giorni in funzione degli orari di apertura dei musei o per esigenze tecniche, ma il programma rimane invariato.
Quota individuale di partecipazione | € 860,00 |
Supplemento singola | € 180,00 |
Riduzione bambini fino a 12 anni in 3°/4° letto | € 100,00 |
Supplemento partenze del 2/6, 12/8 | € 30,00 |
Supplemento partenza con Trenitalia AV su Roma/Napoli | SU RICHIESTA |
Notte supplementare pre/post tour a Roma, in b/b in doppia a persona, al giorno | € 60,00 |
Notte supplementare pre/post tour a Roma, in b/b in singola, al giorno (esclusa tassa di soggiorno,€ 6,00 al giorno a persona, da pagare in loco) | € 90,00 |
Assicurazione obbligatoria (incluso annullamento viaggio) | € 30,00 |
Quota di iscrizione | € 30,00 |
La quota comprende
- Viaggio A/R in Autobus GT Lusso |
NON COMPRENDE: |
COSTO DI TUTTI GLI INGRESSI PREVISTI DURANTE IL TOUR: Pompei: zona archeologica Tariffe incluse, in alcuni casi, di diritti di prenotazione e preacquisto obbligatori, e di sconti gruppi se previsti, € 70,00 |
NAPOLI |
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DOCUMENTO RICHIESTO: CARTA D'IDENTITA' VALIDA |